
I boschi sacri

L'Arcana Sacralità dei Boschi nell'Antica Europa.
Nell'Europa dei tempi remoti, i primi santuari e i primigeni luoghi deputati al culto non furono opere d'uomo, bensì
i boschi stessi, con le piccole radure che si aprivano quasi per incanto nell'intrico delle fronde.
Ed è da siffatte radure che ci perviene il vocabolo medesimo di "bosco":
esse erano designate con l'espressione "occhio di bue", derivante dal greco bous, bue, e ios, occhio.
Un'attenta disamina delle parole teutoniche atte a significare "tempio" ha posto in chiara luce come, presso le
genti germaniche, i più vetusti santuari non fossero che boschi naturali.
Il culto degli alberi è, peraltro, attestato in seno a tutte le grandi stirpi europee.
Fra i Celti, il profondo rispetto dei Druidi per le querce è noto a chiunque, e la loro antica parola per "santuario"
parrebbe identica, per origine e per significazione, al latino nemus, che designa un bosco o una radura in esso, vocabolo
che ancor oggi sopravvive nel toponimo Nemi.
E Nemi, difatti, è il più antico bosco sacro italico giunto alla nostra conoscenza, traendo il suo nome dal piccolo
lago annidato tra i Colli Albani, un tempo rigogliosi di un verde ineffabile.
Era dedicato a Diana, sebbene, in epoche ancor più remote, vi si celebrassero riti occulti, i quali ci rimandano
a un'Italia primordiale dove i diritti sacerdotali venivano trasmessi per mezzo di un cruento omicidio.
Accadeva, difatti, che il sacerdote in carica fosse trucidato dal suo successore, il quale era destinato a
incontrare la medesima sorte.
Pare che l'origine di questa barbara tradizione fosse connessa al significato simbolico del rinnovamento
della vita, della perpetuazione della specie: il sacerdote vetusto veniva immolato per scongiurare la morte
e per infondere, con il proprio sangue versato, nuovo vigore alla vita stessa.
La dea Diana, non a caso, era venerata quale protettrice di tutta la natura, capace persino di rendere feconde
le unioni sterili, e dunque di elargire il dono della vita.
Fu poi Diana a divenire la divinità tutelare del sacro bosco di Nemi.
Nelle cupe foreste germaniche, i riti punitivi inflitti a coloro che avessero arrecato danno all'albero-dio
erano a dir poco allucinanti: bastava che la corteccia di una quercia venisse scorticata, perché all'incauto
trasgressore del tabù si enucleasse l'ombelico, allo scopo di provocare la fuoriuscita dei visceri senza tuttavia
cagionare la morte immediata.
Successivamente, la parte ombelicale veniva legata a un ramo dell'albero profanato, mentre il povero sventurato era
costretto a girare intorno al tronco finché l'intero intestino non vi si fosse attorcigliato, formando
una nuova, simbolica corteccia.
Tale raccapricciante narrazione serve a farci comprendere la sacralità attribuita alle piante, e come la vita umana
fosse allora tenuta in ben scarsa considerazione.
Ciò poiché la maggior parte degli antichi dèi e degli eroi mitologici scaturirono dalle profondità dei boschi:
nelle culture occidentali, l'alloro venne consacrato ad Apollo, l'olivo a Minerva, il mirto a Venere, l'oppio a Eracle.
Vi era, dunque, un reverenziale rispetto per il mondo vegetale, favorendo altresì la genesi di infinite
leggende e di "superstizioni", come le definiamo nelle epoche più recenti, le quali, a ben vedere, non lo sono
affatto, e ci riportano a un grandioso passato assai lontano, intriso di verità camuffate sotto l'egida di
storie fantastiche.
Altrimenti non si sarebbero avuti riti punitivi così spietati nei confronti di chi mancava di rispetto e violava
quelle creature diverse e possenti, sacre e magiche quali gli alberi.
Si narrano, difatti, storie stupefacenti, denominate "brutti segni": un albero d'ulivo, si tramanda, "rientrò" nella
terra, penetrandovi sino a lasciar scorgere solo pochi rami, e ciò accadde il giorno precedente lo scoppio della guerra
civile di Pompeo Magno, conformemente a quanto era scritto nei libri sibillini, custoditi in una caverna di
Cuma, i quali annunciavano che un evento siffatto presagiva sempre un conflitto.
La sposa di Zeus, Era, possedeva il suo albero parlante, il quale, attraverso lo stormire delle foglie, esprimeva a gran voce
la volontà della dea. Il compito di interpretare questa volontà era assolto da particolari individui.
Chi, secondo la Vostra perspicacia, potevano essere questi esseri così mirabilmente dotati?
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Nutrite forse l'ardire di interrogare il Fato?
§ Per voi, dunque, si schiudono gli arcani di Oracoli e
Divinazioni, a quanti nutrono quesiti inespressi e
anelano a solleciti responsi §